La pioggia cadeva incessante ormai da parecchie ore e il cielo, coperto da
una spessa coltre di nubi scure, veniva solcato da lampi al ritmo incessante
dei tuoni. Jarod era seduto alla sua scrivania accanto alla finestra che dava
su di un incolto giardino dominato dal buoi della notte, la luce della stanza
era fioca e sostenuta soltanto da una piccola abasciur. Quelle condizioni di
scarsa luce contrapposta al nero della notte, che poteva ammirare dalla
finestra, gli davano una strana sensazione di sicurezza.
L’inchiostro si depositava cauto e tremolante tra le celle del modulo blu
dominato da una mano incerta. Ho sempre detestato compilare quei documenti in
cui i dati dovevano essere scritti nelle singole celle sequenziali, mi dava un
senso di segregazione, di costringimento che non mi appartengono. Mi sento
libero in genere ma quella sera quelle cellette mi lasciavano indifferente, ero
più preoccupato dalla scelta che stavo facendo. In fondo, mi sono detto un
sacco di volte, “cosa mi serviranno mai, finiranno per marcire li freschi e
pronti per essere riutilizzati …forse”.
Nome, Cognome, Stato civile, Malattie,
Dipendenze da droghe, Patologie si susseguivano in una dichiarazione spietata
che non lasciava dubbi sulla scelta intrapresa. Alla fine la fatidica domanda,
quella a cui molti rispondo NO e chi osa sbarrare il contrario di solito lo
fanno affrontando una strada ignota scarsamente illuminata che sa di sacralità
e scienza.
Quando da piccolo mi dicevano di stare attento alla compagnie con cui
uscivo, che avrei potuto facilmente sbagliare strada e finire male, non capivo.
Non capivo la metafora della strada in quanto vita. Per me una scelta era ed è
una scelta, non ci sono scelte giuste o sbagliate ma solo risultati buoni o
meno buoni. Da tutto si può trarre qualcosa di utile, anche dai risultati
definibili “disastrosi”. Bhe all’età di ventinove anni ho capito che siamo solo
dei passeggieri in una grandissima metropoli chiamata vita. L’ho capito per
caso ascoltando durante uno dei miei tanti viaggi mentali una canzone di Iggy
Pop del 1977 “The Passenger”. Ci vuole poco per perdersi in una città,
specialmente se siamo troppo sicuri di noi stessi.
L'ultima decisione va presa comodamente pensai, così mi sdraiai sul divano
nella penombra di quel posto che mi faceva stare bene quando tutto attorno a me
crollava miseramente, quel posto che mi scaldava quando fuori faceva freddo, mi
proteggeva quando le intemperie si abbattevano sulla città, quel posto che
sentivo mio ovvero la mia casa. Quella sera decisi di svoltare di colpo e
prendere la strada della donazione degli organi …”SI! ACCONSENTO L’ESPIANTO E
LA DONAZIONE DEI MIEI ORGANI QUAL’ORA SIA ACCERTATA LA MORTE CEREBRALE”
Ore 21.45 alcune settimane dopo la firma del modulo.
Ero fermo davanti a quell'immensa porta blu antincendio da ormai 5 minuti buoni,
immobile, a fissarla con la maniglia tra le mani nascondendomi dall'unico punto
luce che possedeva per sfuggire allo sguardo dei miei colleghi. Quella sera era
più dura del solito aprire quel mondo fatto di confusione, disorganizzazione e
rapporti sociali mal sani. Quella sera era stato difficile persino varcare la
porta d'ingresso, sentivo il peso del dolore che quel posto racchiudeva, della
sofferenza delle persone ricoverate.
Jarod era da sempre un ragazzo molto sensibile, cercava di nasconderlo dietro
ad un velo di ironia e svogliatezza, ma in realtà era incapace di esprimere i
propri sentimenti e le proprie paure. Paure che da parecchi anni lo
tormentavano e che a volte lo tenevano sveglio tutta la notte. Quella sera il
suo stato d'animo era turbato da un lutto di un suo amico, un lutto inaspettato
che ti colpisce come un fulmine a ciel sereno. La sua fede religiosa vacillava
di diverso tempo sotto i colpi oscuri della vita, banalità per alcuni ma veri e
propri rompicapo per una mente così desiderosi di risposte come quella di
Jarod.
Quella porta rappresentava per lui una sorta di frontiera tra due mondi,
quello fatto di pensieri tormentati riguardo ad un possibile lutto in famiglia,
con tutte le conseguenze di un padre troppo attaccato al lavoro e unico custode
di quell'impero che gli sarebbe inevitabilmente franato contro e il mondo di un
lavoro che non lo rendeva soddisfatto e che a stento riusciva sopportare.
Una luce intensa e accecante si fece avanti d'improvviso nella penombra
distogliendo Jarod dai suoi pensieri, a seguirla un forte boato e un rumore di
passi frettolosi e ben marcati. La pioggia iniziò a sbattere contro i vetri
della finestra e il sibilo del vento penetrò all'interno dell'ospedale
conferendogli un accento ancora più tetro. Mi spostai verso la finestrella della porta per
sbirciare i mie colleghi, l'occhio venne attratto inevitabilmente dalle
lancette dell'orologio che mi ricordarono che il mio turno era già iniziato da
10 minuti, decisi così di accantonare i miei pensieri per un po’, chiudere gli
occhi, riempire i polmoni di quella putrida aria ospedaliera e spingere verso
il basso la maniglia facendo scivolare la pesante porta verso di me.
2 commenti:
Amo questo tuo scrivere non curato, la prima e la terza persona che si fondono esperienze e preoccupazioni vere, fantasia e realtà in un tuttuno.
Chi è Jarod chi è Zanna? Leggere di questa storia per chi ti conosce significa leggere di te, spero porterai avanti di tanto in tanto questo libro della vita, ne potrei diventare un avido lettore e potrebbe portarti a capire un po più di te stesso.
Al prossimo capitolo, continua così
Non c'è molto da commentare in scritti come il tuo,si raccontano da sè,sono solo da leggere,prendere atto ed elaborare,passerò a leggere il primo capitolo, e spero che ce ne saranno altri.
Buona serata
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